giovedì 27 settembre 2007

Nel nome del Derby

Sotto le marmitte delle 127, dentro ai giardini delle case, rotolati nei fiumi, sui tetti dei garage, sui balconi, bucati dentro ai cespugli, fradici all’interno di pozzi, impigliati fra i rami degli alberi, insaccati nella rete dopo aver subito un goal. Quanti palloni recuperati. E quanti persi. Quante partite, viste e giocate. Abbiamo iniziato a correre dietro a questa sfera d’aria ricoperta di cuoio ancor prima di correr dietro alle ragazze. Muretto, tedesca, partitella per la via, gara di rigori. Se nessuno voleva giocare, gara personale di palleggi.
E quanti Derby.
Prima quelli raccontati, di Pulici, Graziani, Causio e Bettega. Poi quelli di Le Roi Platini (è colpa sua se ho deciso di fare l’attaccante) fino ad arrivare al rocambolesco 3-3 del 2001 ed al goal di tacco di Del Piero. Ed ora eccoci nuovamente qua, ad aspettare con brama. Da tifoso anomalo, scarno di stadio e di curva (destino di chi ha praticato il calcio a 11 per lungo tempo), non provo odio particolare per l’una o l’altra squadra. Certo, quando il Toro o l’Inter non vincono il mio lunedì ha tutta un’altra facciata. Ma odio no.
Passione.
Passione, quella si. Prima di tutto per il calcio in ogni sua espressione come suscitatore di emozioni. E poi per la mia squadra. Formicolio allo stomaco, tipo innamoramento, ma più smanioso. Trepidazioni. Inquietudini. Spasmi. E poi liberazione, gioia. Quella che devi urlare fuori a tutti i costi: il goal.
E se Bukoswsky desiderava esser seppellito vicino all’ippodromo, così che potesse sentire l’ebbrezza della volata finale, io mi farò sotterrare vicino allo stadio, così che possa sentire l’urlo di passione recondita sprigionato dal principe dei goals, il goal segnato durante quella dolce sofferenza chiamata Derby.

martedì 25 settembre 2007

Il filosofo barcollante e la dottrina vespertina

Il filosofo barcollante non ha molti vizi ed è un gran lavoratore. A volte alza un po’ il gomito, ma ha tutt’altro aspetto di un ubriacone. Anzi, piace più alle mamme che alle figlie. Il filosofo barcollante predilige lo spettacolo. Ovviamente quando si trova a porta vuota con la palla fra i piedi non esita a buttarla dentro. Ma un’azione di prima, con palleggi e colpi al volo, lo esalta quanto una marcatura.
Il filosofo barcollante, al calar del sole, elargisce parabole di sapienza, pillole di infinito che illuminano disarmando chi gli sta di fronte. Spesso si auto aiuta, durante la distribuzione di emozioni cosmiche in formato pocket, con infusi alcolici di ogni genere. Il filosofo barcollante, al suo risveglio, non ricorda nulla, ma è avvolto da una piacevole sensazione di aver trascorso una serata indelebile insieme ai suoi amici. Povero, non avrà nulla da raccontare ai suoi nipotini. E’ il triste destino dei beoni che, proprio perché storditi dagli effetti dell’alcol durante le loro scorribande, avranno un futuro senza ricordi.
Il filosofo barcollante ha preso consapevolezza della propria erudizione e la gente ha incominciato ad ascoltare e raccogliere i dardi della sua dottrina vespertina una sera quando, consolando un amico sopraffatto dalla tristezza per esser stato lasciato dalla sua fida (storicamente considerata dai più come donna di malaffare nonché passeggiatrice mondana), gli disse: "Se ti compri un secchiello bucato, poi non lamentarti di essere senz'acqua".

martedì 18 settembre 2007

La Sindrome della Ciambella

“Oh...Lei chi è, parente della sposa o dello sposo?”
“Nessuno dei due, signora, sono il fidanzato di una amica della sposa”
“Ah. Che bella coppia, nèh? E quanto sono innamoraaati, si vedeva da come si guardavano l’un con l’altra sull’altare..”
“E’ da molto che stanno insieme?”
“Ma disme nen, dopo sei mesi che si parlavano hanno già deciso di sposarsi. Ho dovuto in fretta e furia farmi portare da mia figlia a comprare un vestito da festa”
“Speriamo che non li colpisca la Sindrome…”
“Come…?”
“Niente, signora. Niente.”

In questo scorcio di settembre come ogni anno intasato da riti nuziali, farciti di amori sempre più formato discount sempre meno produzioni artigianali di qualità, è molto difficile non essere inghiottiti da almeno un matrimonio. Così domenica pomeriggio, ispirato in egual modo dal Nebbiolo del pranzo di nozze, dal Mielò ingurgitato la sera prima a Caluso e dall'alito al peperone bagna' 'nt l'oli della signora di Barge zia della sposa nonché mia vicina di Macarena, ho accostato il fantastico mondo dei matrimoni last minute ai momenti d'angoscia vissuti quando la spietata Sindrome della Ciambella si impossessava di me con cadenza periodica.
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Durante la mia ormai lontanissima carriera mancata da single a vita, i sintomi della malattia, puntuali come la morte, si manifestavano all’incirca due volte l’anno:
- inebriamento iniziale
- palpitazioni
- formicolii
- somme di denaro immense gettate in eterne e mielose conversazioni telefoniche
- dichiarazioni d’amore shakesperiane
Il tutto sfumato da nebbie infatuanti, tremendamente abili a cospargere con polvere di stelle il capo della malcapitata fidanzata di turno avvolgendola in un’abbagliante veste rosa da principessa incantata.
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Ma il tempo, quando vuole, sa essere insensibilmente spietato. Con il passare dei giorni la nebbia poco a poco si diradava, i difetti prendevano il sopravvento e la consapevolezza che l'incantesimo si fosse irrimediabilmente rotto affiorava quando, strofinandomi gli occhi per l'incredulità, l'elegante abito rosa da principessa si trasformava in una tuta marrone da mercato (di un paio di taglie più larga, tra l’altro). La sensazione che si prova in questi momenti è quella di avere il culo incastonato in un’enorme ciambella e non riuscire a tirarlo fuori. Da qui, appunto, il nome della Sindrome.

Che fare? Silenzi, ritardi, impegni vari, ancora silenzi, qualche lacrima. Ed ogni volta la promessa (da marinaio) di non partire più in quarta in un rapporto. Ma l’amore, si sa, è il contrario della dichiarazione dei redditi: si dichiara sempre di più di quello che si ha. Seppur siano presenti molti evasori.

martedì 11 settembre 2007

Avere 30 anni

Post di questa settimana poco da leggere tutto da vedere e commentare. Lasciamo raccontare le immagini e le canzoni (mi raccomando le casse accese). Un ringraziamento particolare ai 2 festeggiati (comprese le loro fide) per lo sbattimento e le emozioni che ci hanno regalato ed al padrone di casa, Renzi, che ha impacchettato la festa in una graziosa cornice. Per il resto tutto è venuto da sé, come da manuale dei migliori party: un pò di conversazione iniziale, una spruzzata di sangria (e non solo), entusiasmo, belle ragazze e tanta disco music che ha sprigionato la movida fino a tempo indeterminato. Ancora una volta per urlare a tutti ma soprattutto al cielo che non molleremo, e che avere 30 anni nel 2007 è come averne 20 qualche decennio fa.
GUARDA "Avere 30 anni" part one
GUARDA "Avere 30 anni" part two
Un ringraziamento particolare va a mia sorella Federica, senza la quale i due filmati non avrebbero avuto luogo. C'è qualche imprecisione, voi passateci sopra.

GUARDA il "Tributo a DISCO INFERNO", l'incrollabile ballerino rivelazione special guest della serata

Permettetemi ancora di salutare e ringraziare il prima di tutto grande amico ARGE. E' il padre spirituale del movimento, oracolo personale, che ha catalizzato i miei pensieri trasformandoli in verbo telematico: se Gastaldology è nato ed esiste (dunque pensa) è anche grazie a lui.

mercoledì 5 settembre 2007

La isla bonita

L’inizio è identico a quello del precedente post: di Ibiza ci è piaciuto tutto quello per cui è meno conosciuta. Le comunità hippy del nord, la musica chillout che fa da colonna sonora agli ambienti lounge, i drink assaporati in compagnia dei tramonti, le calette incantate, il naturismo dilagante. Ribattezzata da Burzi (in pieno delirio mistico sotto il sole cocente di Cala Conta dopo l’ennesimo seno rifatto spiattellato in faccia) “luogo di ritrovo della topa di tutta Europa”, l’isola ci è subito parsa singolare, certamente unica.
Ogni mattina, verso mezzogiorno, ci fermavamo a mangiare un po’ di frutta. Accanto al nostro asciugamano, a seconda delle spiagge, potevamo scrutare: intere famiglie nude, culattoni (anche loro nudi), cannaioli, ballerine, spogliarelliste, Italiani (perfettamente riconoscibili perché, ancor prima dello zaino Invicta, gli occhiali da sole D&G e l’abbinata costume/maglietta /infradito firmati, le nostre donne sono le uniche a non praticare il topless).
Ma soprattutto i nostri occhi sono stati sollecitati per ben 15 giorni da una sproporzionata miriade di tette rifatte. Di tutte le misure, le forme, le età. Promontori carnosi e inamovibili che ti indicavano con piglio accusatorio ed al solo sbircio bloccavano lo stomaco come un pugno sullo sterno.
Abbiamo stimato che non meno del 60% dei seni presenti sull’isola abbia visto almeno una volta il bisturi. E siamo arrivati ad una conclusione: nella penisola iberica il tanto desiderato e discusso lifting alle mammelle lo passa la mutua. W la Spagna, W Zapatero, W il gel riempiente al silicone.