Sotto le marmitte delle 127, dentro ai giardini delle case, rotolati nei fiumi, sui tetti dei garage, sui balconi, bucati dentro ai cespugli, fradici all’interno di pozzi, impigliati fra i rami degli alberi, insaccati nella rete dopo aver subito un goal. Quanti palloni recuperati. E quanti persi. Quante partite, viste e giocate. Abbiamo iniziato a correre dietro a questa sfera d’aria ricoperta di cuoio ancor prima di correr dietro alle ragazze. Muretto, tedesca, partitella per la via, gara di rigori. Se nessuno voleva giocare, gara personale di palleggi.
E quanti Derby.
Prima quelli raccontati, di Pulici, Graziani, Causio e Bettega. Poi quelli di Le Roi Platini (è colpa sua se ho deciso di fare l’attaccante) fino ad arrivare al rocambolesco 3-3 del 2001 ed al goal di tacco di Del Piero. Ed ora eccoci nuovamente qua, ad aspettare con brama. Da tifoso anomalo, scarno di stadio e di curva (destino di chi ha praticato il calcio a 11 per lungo tempo), non provo odio particolare per l’una o l’altra squadra. Certo, quando il Toro o l’Inter non vincono il mio lunedì ha tutta un’altra facciata. Ma odio no.
Passione.
Passione, quella si. Prima di tutto per il calcio in ogni sua espressione come suscitatore di emozioni. E poi per la mia squadra. Formicolio allo stomaco, tipo innamoramento, ma più smanioso. Trepidazioni. Inquietudini. Spasmi. E poi liberazione, gioia. Quella che devi urlare fuori a tutti i costi: il goal.
E se Bukoswsky desiderava esser seppellito vicino all’ippodromo, così che potesse sentire l’ebbrezza della volata finale, io mi farò sotterrare vicino allo stadio, così che possa sentire l’urlo di passione recondita sprigionato dal principe dei goals, il goal segnato durante quella dolce sofferenza chiamata Derby.
E quanti Derby.
Prima quelli raccontati, di Pulici, Graziani, Causio e Bettega. Poi quelli di Le Roi Platini (è colpa sua se ho deciso di fare l’attaccante) fino ad arrivare al rocambolesco 3-3 del 2001 ed al goal di tacco di Del Piero. Ed ora eccoci nuovamente qua, ad aspettare con brama. Da tifoso anomalo, scarno di stadio e di curva (destino di chi ha praticato il calcio a 11 per lungo tempo), non provo odio particolare per l’una o l’altra squadra. Certo, quando il Toro o l’Inter non vincono il mio lunedì ha tutta un’altra facciata. Ma odio no.
Passione.
Passione, quella si. Prima di tutto per il calcio in ogni sua espressione come suscitatore di emozioni. E poi per la mia squadra. Formicolio allo stomaco, tipo innamoramento, ma più smanioso. Trepidazioni. Inquietudini. Spasmi. E poi liberazione, gioia. Quella che devi urlare fuori a tutti i costi: il goal.
E se Bukoswsky desiderava esser seppellito vicino all’ippodromo, così che potesse sentire l’ebbrezza della volata finale, io mi farò sotterrare vicino allo stadio, così che possa sentire l’urlo di passione recondita sprigionato dal principe dei goals, il goal segnato durante quella dolce sofferenza chiamata Derby.